Affluenza quasi nulla nella prima fase, che ha visto i seggi aperti in  14 governatorati su 27. Il 22 novembre seconda fase elettorale, con le operazioni di voto nei restanti 13 governatorati. Stravince per mancanza di alternative “Per amore dell’Egitto”, coalizione che sostiene al-Sisi

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Roma, 21 ottobre 2015, Nena News - Ci hanno provato in tutti i modi le autorità egiziane: dare metà giornata libera agli impiegati statali per spingerli a votare, oppure, come accaduto ad Alessandria, abbassare le tariffe del trasporto pubblico. Tutto per dimostrare che le elezioni parlamentari non fossero un fiasco completo. E invece, con un’affluenza stimata intorno al 20 -25 per cento – le autorità si sono guardate bene dal diffondere dei dati definitivi, ndr – l’Egitto ha confermato il suo boicottaggio al presidente al-Sisi.

Quindici, forse sedici per cento nella giornata di domenica, il resto nella giornata di lunedì: numeri ben diversi da quelli ottenuti durante la prima, entusiastica votazione libera della storia dell’Egitto, quando alla fine del 2011, a seguito della cacciata del “faraone” Hosni Mubarak, oltre la metà degli egiziani aventi diritto (55 per cento) si presentava ai seggi per scegliere il nuovo Parlamento. Persino alle presidenziali dello scorso anno, quelle organizzate per dare legittimità alla candidatura del generale- golpista Abdel Fattah al-Sisi, l’affluenza era stata del 47,5 per cento secondo il quotidiano filo-governativo Al-Ahram.

Banditi gli osservatori internazionali – Democracy International, un’organizzazione statunitense che monitora la correttezza delle operazioni di voto, aveva rinunciato a mandare i suoi lamentando “difficoltà nell’ottenere visti dal governo egiziano” – le uniche notizie certe per farsi un quadro generale sono i racconti dei cronisti sul posto: seggi vuoti nelle zone più popolose del Cairo, come in molti altri dei 14 governatorati della prima fase elettorale.  Anche l’invasione di messaggi ironici sui social media e le dichiarazioni dei funzionari di governo che – in alcuni casi – hanno svelato la loro delusione per le operazioni di voto hanno contribuito al quadro generale.

Se il ministero degli Esteri, per bocca del suo portavoce Ahmed Abu Zeid, lunedì scorso aveva attaccato i media stranieri per i loro “tentativi di saltare alle conclusioni per quanto riguarda i risultati e il significato delle elezioni prima della fine della prima giornata della prima fase elettorale” che rappresenterebbero “un altro fallimento nell’offuscare l’immagine del paese”, c’è anche chi si è sbilanciato verso la verità: Abdullah Fathy, presidente dell’associazione dei giudici e membro del panel incaricato di monitorare la situazione ai seggi, interrogato in diretta tv sulla presenza o meno di “incidenti” durante le operazioni di voto, ha risposto candidamente: “Da dove dovrebbero venire le violazioni o gli scontri? Non ci sono episodi, violazioni, eccessi. E nemmeno votanti”.

Niente Fratelli Musulmani, messi fuori legge nel 2013 dopo il colpo di Stato contro l’unico presidente eletto, Mohamed Morsi;  nessuna opposizione moderata islamica, dopo che il leader di “Forte Egitto” Abdel Moneim Aboul Fotouh, ex esponente della Fratellanza e candidato indipendente alle scorse presidenziali, ha chiamato al boicottaggio denunciando minacce ai suoi esponenti; niente liberali, che si sono accodati alla chiamata del resto dell’opposizione. Il contentino è stata la presenza dei salafiti del partito “Nour”, unica concessa all’Islam politico: troppo estremisti per una popolazione che aveva incoronato la Fratellanza nelle parlamentari del 2011 con il 47,5 per cento delle preferenze e che li ha visti schiacciati dalla giunta militare due anni dopo, il partito salafita ha ottenuto poco e niente, a fronte del 22,1 per cento ottenuto nel 2011.

In Egitto, dove il Parlamento manca dal 2012, non si è assistito tanto all’incoronazione forzata di al-Sisi – che, come prevedevano gli analisti, sta riuscendo a far partorire alle urne un Parlamento a lui allineato – quanto quella del vecchio regime: come fa notare il New York Times, la maggior parte dei candidati  sono notabili locali, senza ideologie o piattaforme conosciute. Molti erano ex membri del partito di governo sotto Hosni Mubarak, altri candidati sono ufficiali militari che hanno servito sotto al-Sisi. L’Egitto, vittima e complice della distruzione della propria primavera, è rimasto a casa. Perché sembra che non resti altro che boicottare. Nena News

 

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