12/10/2016

Lo Stato unico è la sola alternativa all’irrealizzata soluzione a due Stati? Asem Khalil discute i cambiamenti minimi nella governance che l’Ap ha compiuto dopo Oslo e il mantenimento dello status quo, un sistema istituzionalizzato di apartheid e non-soluzione

Il presidente dell'Anp, Abu Mazen (Foto: Yonatan Sindel/Flash90)

Il presidente dell’Anp, Abu Mazen (Foto: Yonatan Sindel/Flash90)

 – Al Shabaka

Ramallah, 13 ottobre 2016, Nena News – (qui la prima parte)

Probabili scenari per il futuro dell’Autorità Palestinese: più o meno (sempre) lo stesso

L’Autorità Palestinese non governa la Striscia di Gaza dal 2007. Qualcuno potrebbe dire che essa non governi nemmeno la Cisgiordania. L’Autorità Palestinese continua ad esserci soltanto per mantenere l’apparato di sicurezza e l’amministrazione civile, e ci sarà fin quando potrà preservare il rapporto di codipendenza con la comunità internazionale dei donatori e con l’apparato di sicurezza di Israele.

Il mandato della Ap probabilmente andrà avanti nel breve e medio termine, a causa del probabile perpetuarsi dello status quo che dipende in parte dalla costante separazione della Cisgiordania dalla Striscia di Gaza. Questa separazione non è subordinata alla divisione tra Fatah e Hamas, poiché precede la presa del potere del 2007. Si può far risalire al 1948 quando la Cisgiordania e la Striscia di Gaza finirono rispettivamente sotto controllo giordano ed egiziano.

La politica israeliana nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967 ha intensificato questa separazione, che presumibilmente continuerà anche nel caso in cui avvenga la riconciliazione a causa delle profonde differenze politiche, economiche e sociali.

Hamas nella Striscia di Gaza rispetto a Fatah in Cisgiordania potrebbe essere a una entità meno sostenibile. Il cambio di regime in Egitto nel 2013 ha portato un presidente che è più in sintonia con l’Autorità Palestinese ed è impegnato nel reprimere la Fratellanza Musulmana in Egitto e più in generale i movimenti islamisti. Questo cambio indirettamente giova all’Autorità Palestinese e in tutta probabilità l’aiuterà a sopravvivere. Il cambio potrebbe invece portare alla caduta di Hamas.

Ma anche se Hamas restasse al potere – e senza un accordo ufficiale tra Hamas ed Israele – è più probabile che venga raggiunta una “soluzione” temporanea per la Striscia di Gaza. Questo tipo di soluzione non sarebbe lontana dalla logica che fu utilizzata per giustificare il ritiro delle colonie israeliane deciso da Ariel Sharon nel 2005. Essa probabilmente prevedrà movimenti limitati (tuttavia possibili) di beni e persone da e verso Gaza attraverso confini sicuri con Israele.

Un tale accordo potrebbe soltanto essere realizzato con il sostegno e la garanzia del governo e dell’esercito egiziano, poiché Israele non ha controllo sul valico di Rafah – l’unico passaggio ufficiale da Gaza all’Egitto. Questo è un aspetto di ciò che potrebbe rappresentare una situazione di “status quo plus” – d’ora in avanti StatusQuo+.

Lo StatusQuo+ è il termine che sto usando per uno Stato di Palestina che è un’entità non sovrana e completamente dipendente dalla comunità internazionale dei donatori e da Israele. Ciò significa che le attuali politiche di Israele volte ad aumentare le aree sotto il proprio controllo e la creazione di un sistema duale in Cisgiordania – uno per i coloni ed i cittadini israeliani e l’altro per la popolazione locale – si intensificherebbero ulteriormente. L’Autorità Palestinese governerebbe la popolazione palestinese locale, senza alcuna autorità nei confronti degli israeliani. Il suo coordinamento con Israele sarebbe necessario per continuare a mantenere la popolazione locale sotto controllo. Tale sistema contiene tutti i prerequisiti necessari per l’istituzionalizzazione dell’apartheid⁴.

L’Autorità Palestinese funzionerebbe solo da intermediaria per la popolazione palestinese sotto questo regime di apartheid. Non assumerebbe la forma di un’autorità nazionale centralizzata, ma sarebbe composta da un gruppo di élite economiche e politiche nonché da apparati di sicurezza e amministrazione civile, che potrebbero essere definiti come la “Burocrazia Palestinese.” Questo gruppo diventerebbe nel tempo maggiormente complice dell’apartheid in Cisgiordania.

Queste élite economiche e politiche trarrebbero continui privilegi dall’autorità occupante. Israele continuerebbe a costruire nuovi insediamenti ed il Muro di Separazione, che divide Gerusalemme est dal resto dei Territori Palestinesi Occupati e dalle aree dei territori palestinesi annessi de facto oltre la Linea Verde, frammenterebbe ulteriormente le aree popolate della Cisgiordania al fine di inglobare la maggior parte degli insediamenti israeliani e la Valle del Giordano. La Burocrazia Palestinese, con i profitti derivanti dal riconoscimento del nuovo “Stato di Palestina”, nel tempo probabilmente si separerebbe dalla Olp (o dall’agenzia che afferma di rappresentare la popolazione palestinese della Diaspora).

StatusQuo+ implicherebbe che la Ap della Cisgiordania debba cercare fonti per l’estensione della propria “sovranità” al di fuori della continuità territoriale o del controllo della popolazione. Il riconoscimento formale da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite della Palestina come Stato non membro nel 2012, nonché la ratificazione di trattati internazionali, dovrebbe servire ad accelerare il processo di ricerca di possibili scenari una volta che la Palestina diventi Stato, anche prima che diventi un reale Stato⁵.

L’Autorità Palestinese avrà bisogno per questo di rafforzare la cooperazione con le autorità giordane. Il suo obiettivo di intensificare i legami con la Giordania probabilmente prevedrebbe piani del passato, incluso l’opzione della confederazione prima del diventare realmente uno stato. Eppure la Giordania presumibilmente lavorerebbe per evitare un incremento della propria popolazione palestinese⁶.

Questa situazione potrebbe essere soddisfacente sia per Israele sia per la Giordania. Israele continuerebbe a controllare la maggior parte della Cisgiordania senza una vera resistenza e con frontiere sicure, mentre la Giordania bloccherebbe qualsiasi trasferimento di popolazione e potrebbe iniziare (o intensificare) un processo di denazionalizzazione per alcuni dei suoi cittadini di origine palestinese, a seguito dell’istituzione di uno Stato palestinese – seppur simbolico.

Questo sistema dello StatusQuo+ sarebbe insostenibile con il passare del tempo perché non soddisfarebbe il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione. Molti giustamente credono che questa realtà condurrebbe alla fine della soluzione dei due stati. Tuttavia, contrariamente a quello che si pensa, l’alternativa non sarebbe la soluzione di uno stato unico, ma piuttosto la soluzione del nessuno stato.

Tale “soluzione” implicherebbe mantenere e rafforzare le autorità dell’autogoverno per la popolazione palestinese locale – ma in settori vietati dalle autorità israeliane. Ciò si applicherebbe alla Cisgiordania così come alla Striscia di Gaza, benché separatamente. Potrebbe applicarsi separatamente a diverse regioni della Cisgiordania.

Nel medio termine, questa soluzione del nessuno Stato potrebbe condurre ad una soluzione di (almeno) tre Stati. Oltre ad Israele, che manterrebbe il territorio ottenuto nel 1948, oltre alla strada estesa del Muro di Separazione, i palestinesi istituirebbero un mini stato nella Striscia di Gaza. Questo Stato sarebbe smilitarizzato e sotto la protezione ed il sostegno del governo egiziano. Il terzo Stato sarebbe istituito in Cisgiordania, senza Gerusalemme est. Questo stato avrebbe l’aspetto di una struttura etnica federale: un’area per coloni ebrei ed un’altra per la popolazione palestinese locale – ma in realtà sarebbe un regime di apartheid che nel tempo diventerebbe uno stato binazionale. Ancor più in là nel tempo verrebbe inglobato dentro Israele, o forse imboccherebbe la sua propria strada e diventerebbe semplicemente sempre più uno Stato ebraico.

Nel caso in cui questo “Stato” binazionale/di apartheid resti separato da Israele, non sarebbe riconosciuto dagli Stati all’infuori di Israele. Israele manterrebbe un rapporto con questo Stato che è, mutatis mutandis, simile al modo in cui la Turchia mantiene legami con la Cipro turca. Lo “Stato della Cisgiordania” (dei coloni) – o, forse, “Lo Stato della Giudea e della Samaria” – servirebbe ad Israele per mantenere le sue frontiere sicure. La stessa esistenza della popolazione palestinese in quello Stato aiuterebbe Israele a rafforzare e  migliorare i suoi legami con i paesi arabi della regione, aiutando l’integrazione di Israele nel Medio Oriente.

Inoltre, lo Stato potrebbe persino aiutare Israele a denazionalizzare i suoi propri cittadini palestinesi. Sebbene questi individui resterebbero all’interno dello Stato di Israele per evitare una reazione da parte della comunità internazionale, che non vedrebbe di buon occhio un trasferimento forzato della popolazione, essi diventerebbero cittadini di questo nuovo Stato binazionale.

Denazionalizzazione in questo senso consisterebbe nel processo politico e legale attraverso cui a i palestinesi verrebbero esclusi dal corpo politico israeliano – anche se in assenza di dislocamento fisico.

Il fallimento della soluzione dei due stati e possibilità rivoluzionarie

Senza dubbio la soluzione dei due Stati ha fallito. Sono molte le ragioni di questo fallimento. Ad esempio, la separazione della Striscia di Gaza dal resto dei Territori Palestinesi Occupati è diventata progressivamente irreversibile come conseguenza del ritiro di Israele nel 2005 e della presa del potere di Hamas nel 2007.

La dipendenza della Ap da Israele in quanto autorità occupante è innegabile e non è stata toccata dalla risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite che ha riconosciuto la Palestina come stato non membro. La Cisgiordania è stata ulteriormente frammentata dalla costruzione di strade per coloni, dalla costruzione di nuovi insediamenti e dall’espansione di quelli esistenti e dalla costruzione del Muro di Separazione.

Tutti questi sviluppi preoccupanti hanno reso impossibile la soluzione dei due Stati. La soluzione di uno Stato non è necessariamente l’unica alternativa disponibile. L’attuale status quo è infatti un forte candidato per la longevità, sebbene con alcune modifiche condurrebbe ad un sistema di StatusQuo.

Questo inoltre porterebbe nel medio termine ad una soluzione di nessuno Stato per la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, che potrebbe progredire verso una soluzione dei tre Stati: uno palestinese, un altro ebraico ed un altro formalmente binazionale o etnico federale, ma nei fatti sostanzialmente un regime di apartheid aggiornato con le élite della Burocrazia Palestinese che fungono da interlocutori con la popolazione locale.

I primi due scenari condurrebbero probabilmente ad una “stabilità” nel breve e medio termine ed il terzo scenario porterebbe probabilmente ad un’ulteriore frammentazione del corpo politico palestinese. Tuttavia la stabilità che questi potenziali scenari porterebbero non è reale. Essa sarebbe soltanto il risultato dell’addomesticamento e controllo della popolazione locale e della gestione delle pressioni regionali e internazionali. Tali modalità sono insostenibili nel lungo termine poiché sono basate su un organismo illegittimo che utilizza la forza per controllare una popolazione consenziente.

Come dimostra la storia, regimi di questo tipo possono restare in carica per un determinato periodo di tempo, ma non possono durare per sempre. Infatti, con il tempo, e in caso di clima regionale ed internazionale più conciliante, un quarto scenario – di natura rivoluzionaria – potrebbe essere l’alternativa all’attuale status quo, allo StatusQuo+ e alla soluzione dei tre Stati. Questa alternativa rivoluzionaria è per definizione imprevedibile. Tuttavia se – o quando – dovesse succedere, nessuno sarà in grado di spiegare come le altre opzioni siano esistite così a lungo.

Traduzione a cura di Rosa Schiano

Note: 

4. L’autore è a conoscenza delle differenze tra l’ex regime di apartheid del Sud Africa e l’attuale occupazione israeliana della Palestina. Tuttavia, il fatto che l’esempio del Sud Africa sia diverso non fa della causa palestinese un caso inferiore di apartheid. In assenza di esempi più appropriati, l’apartheid continua ad essere l’esperienza più simile a quella che si verifica nei territori occupati da Israele dal 1967.

5. Nel mese di settembre 2011, il presidente della Ap ha richiesto che la Palestina sia riconosciuta membro effettivo dell’Onu. Ciò richiede una raccomandazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con una maggioranza di nove membri su 15, incluso i cinque membri permanenti, e una maggioranza di due terzi dei voti nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La richiesta non è andata a buon fine, poiché la Palestina non è riuscita ad ottenere i voti necessari nel Consiglio di Sicurezza. Si veda Michele K. Esposito, “Update on Conflict and Diplomacy: 16 August 2011–15 November 2011,” Journal of Palestine Studies 41, 2 (2012): 153-189.

6. Il re di Giordania, in un discorso tenuto a giugno 2012, ha detto che simili discussioni siano impossibili senza venga istituito uno stato totalmente indipendente. Parti del discorso sono state pubblicate sul Journal of Palestine Studies 24, 96 (2013).

L’autore

Il membro di Al-Shabaka Asem Khalil è professore associato di diritto pubblico, la cattedra di Sua Altezza Shaikh Hamad Bin Khalifa Al-Thani in Diritto Internazionale e Costituzionale, presso Università di Birzeit. È l’ex preside di facoltà di Diritto e Pubblica amministrazione (2012-2015) e dell’Istituto di Studi Internazionali Ibrahim Abu-Lughod (2010-2012). Khalil ha conseguito un dottorato di ricerca in Diritto Pubblico, presso la Fribourg University, in Svizzera, un master in Amministrazione Pubblica presso National School of Administration, in Francia, e un dottorato in diritto canonico e civile (Utriusque Juris) presso l’Università Laterana in Italia. Le sue ultime pubblicazioni includono: “Palestinesi verso la cittadinanza: la cittadinanza è una soluzione al problema dei rifugiati palestinesi?” (Middle East Law and Governance).

 

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